La Malga del Re
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FORMAGGIO BAGOSS
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LEGGENDE DI BAGOLINO
Di diavoli e Madonne, di navi e nevi, di fantasmi e teschi nel paese delle micche e del formaggio prelibato
Stanchi dei soprusi dei signori di Lodrone, un bel giorno anno 1444, gli abitanti di Bagolino di ribellarono loro e strussero il castello.
Tra le macerie della sala maggiore fu rinvenuta l’icona della Madonna di San Luca che la tradizione voleva dipinta dall’Evangelista stesso.
La tavola dipinta fu portata nell’antica parrocchiale del paese da dove, però, misteriosamente sparì. Dopo tante ricerche, l’effige fu ritrovata ancora tra me macerie del castello.
Finalmente i bagolinesi compresero che la Madonna voleva la pace e, ispirati da boni sentimenti, risalirono fra i ruderi del maniero e con solenne processione ricollocarono nella chiesa la sacra immagine.
In seguito costruirono un’arca dorata e racchiusero la preziosa icona con una splendida cornice d’argento finemente lavorata su fondi di velluto rosso, la posero nell’artistico altare del Rosario e con cinque chiavi ve la chiusero, come si costudisce il più prezioso dei tesori.
Da allora la Madonna di San Luca rimane sempre lì circondata da grande rispetto e amore ogni cinque anni con solenni cerimonie è tolta dall’altare e alla pubblica venerazione dei paesani.
La leggenda parla di un’immagine di San Cristoforo dipinta su un pilastro della chiesa di San Giacomo. Si racconta che ogni passante che avesse guardato quell’immagine non sarebbe morto di incidenti gravi
(Sabina Bordiga)
Tanti anni fa Ponte Caffaro non aveva certo l’aspetto attuale; poche case erano sparse qua e là per la campagna. Tutta la vasta piana era coltivata per lo più a granoturco.
Un giorno passeggiava per la campagna, bela zona che ora è compresa fra Via Palo e Via Oneda, un distinto signore, alto e con una folta barba scura. Il prete del paese, che per caso passava di lì, gli chiese: “ che cosa fate qui?”.
Il distinto signore rispose: “ volete vedere tutto questo ber granoturco steso a terra?”.
Il prete gli rispose scherzosamente che il granoturco era giù sulla terra. Ma l’uomo con la barba ribatté con tono minaccioso: “no, in tre minuti i miei cavalli neri verranno qui e calpesteranno tutto. Facciamo una scommessa!”.
Il Prete incuriosito accettò pensando di poter fidare, con l’aiuto del Signore, i passi di questi cavalli neri. Improvvisamente si fece buio, grosse nubi si abbassarono sul Pian d’Oneda e un vento gelido cominciò a sferzare il granoturco. In pochi minuti vento e grandine distrussero tutto il raccolto. Quando il cielo si rischiarò, l’uomo con la barba non c’era più, tutto il grano era steso a terra.
Alcuni dicono che i prete con le sue preghiere abbia limitato i danni della grande e che al mattino quel distinto signore sia stato ritrovato morto nella campagna.
Si dice anche che questo fatto sia stato raccontato da un certo Barba Gì cioè prozio Giacomo che sarebbe stato testimone oculare dell’accaduto.
(Alessandra e Kety)
Si racconta tra i vecchi di Bagolino una storia strana: la storia della santella del monte Vaia. No so se sia vera ma io ve la racconto così come l’hanno raccontata a me. Dovete sapere che sul monte Vaia c’è un laghetto, un bellissimo laghetto immerso in una conca e in tempi imprecisati vi erano dei pastori che stazionavano sul luogo e, mentre facevano pascolare la loro mandria, trovarono un teschio.
Erano giovani e vivaci quei pastori, lo presero e si misero a giovare a pallone. Stanchi, dopo un po’ di quel divertimento e perché s’era fatto tardi, dovendo rientrare alla stalla, gettarono infine il teschio nel lago.
Il giorno dopo sul sentiero ritrovarono il teschio; noncuranti, lo ripresero e si misero di nuovo giocare a pallone. Verso sera lo rigettarono nel lago, nella parte più profonda, e andarono di nuovo a casa. Il terzo giorno, ritrovarono il teschio al solito, posto, cioè sul sentiero, si intimidirono e raccontarono il fatto al parroco del paese. Questi volle verificare la storia e si recò sul luogo, anche lui provò a gettare il teschio nel lago e il giorno seguente lo ritrovò al suo posto sul sentiero. Allora decise di celebrare una messa in suffragio di quell’anima in pena e i pastori costituirono sul posto del ritrovamento una piccola cappella e vi deposero il teschio al suo interno.
Da allora lì giace senza spostarsi più. Si dice che sia la reliquia di un sant’uomo. Io non so se il fatto sia accaduto davvero o se sia solo una leggenda ma so che la cappelletta con il teschio sul monte Vaia c’è e si chiama Grapa de Vaia.
(Flavio Scalvini)
Vicino a Bagolino, al di là del torrente Caffaro, si scorge un gruppo di case in una località detta Riccomassimo. Narra la leggenda che una sera di molti e molti anni fa un boscaiolo, mentre stava tagliando la legna, vide arrivare un signorotto che gli chiese aiuto: era inseguito dai bulli e non sapeva cosa fare. Trafelato, diceva: “ se mi aiuterai, ti farò ricco al massimo”. Il povero boscaiolo fece una catasta di legna e vi nascose il ricco coprendo il buco con una fascina. Poco dopo arrivarono i briganti e gli chiesero se aveva visto un signore passare. Egli rispose loro: “si, si, correva in quella direzione”.
Così dicendo indicò con un dito il burrone che si apriva poco lontano. I briganti, un po’ per la fretta e un ò per il buoi, non si accorsero dello strapiombo e vi precipitarono. Il signorotto poté così uscire dal nascondiglio. Prima di riprendere il viaggio, ringraziò il boscaiolo e mantenne la promessa regalandogli un sacchetto di monete d’oro. Con questo il pover’uomo decise di costruire case per sé e per i suoi parenti in una località che chiamò Riccomassimo.
Una variante è quella della signora Rosalba Zanetti di Bagolino la quale sosteneva che il nome del boscaiolo povero fosse Massimo e che le parole del signorotto fossero: “ ti farò ricco Massimo!”.
A Ponte Caffaro, frazione di Bagolino e precisamente in località Caselle presso San Giacomo, sgorga una sorgente solfurea abitata un tempo da mille diavoli con gambe caprine e dalle fronti cornute.
Essi ponevano ogni giorno in atto macabri scherzi, mostrandosi dai vetri delle finestre e, urtando le porte delle celle del cicino convento, tentavano continuamente la fede dei frati. Inoltre si divertivano a far suonare con rintocchi lugubri le campane del paese, al cui suono gli abitanti accorrevano armati di falci contro nemici invisibili, ma di chi potevano ben udire le misteriose risate beffarde che li spaventavano.
(Patrizia Galeri)
Questa leggenda, che sembra una storia del genere Horror, ha origine dall’esistenza di una fontana e di una sorgente di acqua sulfurea a Pinte Caffaro ca cui sgorga ancora oggi quest’acqua ricca di zolfo.
Non a caso nella leggenda mille diavoli abitano la sorgente, infatti, lo zolfo è l’elemento di rappresenta al meglio l’inferno per il suo acceso colore giallo-rosso e l’odore acre e pungente. Vicino a Lamezia Terme in Calabria, ad esempio, esistono le terme di Caronte, chiamate così proprio perché chi si avvicina ad esse, avverte subito il particolare odore di uova marce caratteristico dello zolfo che è associato alla presenza di diavoli quali il dantesco traghettatore di anime.
La leggenda vuole mettere in risalto il contrasto tra il bene e il male, rappresentato dai frati e dai diavoli, che potrebbero voler anche raffigurare due diverse categorie umane: gli uomini dediti a scherzi pesanti e quelli invece che ne sono vittime.
Il male fin dal principio era considerati un essere immondo e ciò si può comprendere dalla breve descrizione dei diavoli, costituiti da caratteristici elementi animali.
In passato non esistevano allarmi, protezione civile o vigili del fuoco e, per allertare la popolazione di un incendio o di un improvviso pericolo o evento naturale, si usava suonare le campane a martello.
A quei rintocchi frenetici tutti capivano che era successo qualcosa di grave e accorrevano in aiuto. Questa usanza ha origini antiche ed è testimoniata in molti documenti storici.
Mia nonna mi ha raccontato che quando lei aveva 16 anni, c’erano a Bagolino dei ragazzi della sua età che la sera andavo nel cimitero a rubare i vasi dei fiori e i lumini che illuminavano le tombe. La gente del paese, stanza di questi dispetti, decise di dar loro una bella lezione.
Una sera cinque o sei persone adulte, con delle lenzuola addosso, aspettarono i malcapitati e, appena questi misero piede nel cimitero, cominciarono a fare versi tremendi, ad agiarsi nel buoi tanti da sembrare proprio dei fantasmi. I ragazzi impauriti scapparono a gambe levate. Il giorno dopo si seppe che la bella combriccola era a letto con la febbre per lo spavento che avevano preso da quel giorno basi e lumini rimasero sempre al loro posto: sulle tombe!
La leggenda come altre ribadisce un aspetto connaturato nell’indole umana e cioè il gusto di spaventare nei modi più impensati gli altri. L’Horror, il macabro, i cimiteri, i teschi ghignanti imperversano nelle leggende del passato, ma anche nei film e nei libri di oggi e questo testimonia come, se i tempi sono cambiati, il modo di essere dell’uomo non lo è affatto.
Bagolino è un paese di montagna che si trova in Valle Sabbia. Gli abitanti avevano paura perché verso sera c’erano delle streghe che si divertivano a fare dei dispetti, a scivolare sui massi e a rubare nei pollai delle case le galline e i conigli.
Gli abitanti non sapevano cosa escogitare. Un giorno a un bambino detto Paolino, perché era basso di statura, venne un’idea: andare al fiume Caffaro e prendere un grande masso liscio modellato dal vento e dall’acqua, per poi metterlo vicino ad un pollaio. Allora i bagossi si prepararono per l’assalto. Quando le streghe arrivarono, incominciarono a scivolare sul masso e intanto gli abitanti le catturavano una ad una.
Da quel momento le streghe scomparirono e non fecero più furti e dispetti.
Il sasso enorme che ricorda questa leggenda è ancora al centro del paese, in Via Salvì ed è chiamato El balòt dele Strée.
(Alberto Ranzini)
La leggenda narra che tanto tempo fa alcune streghe andavano in giro a rubare la verdura dagli orti e il bestiame agli allevatori. Una notte un ragazzo vide una strega che rubava le carote, allora la strega scappò. La notte seguente il ragazzo, per nulla intimorito dall’esperienza, invitò i suoi amici a nascondersi con lui per vederle anch’essi, ma le streghe non si fecero più vedere per tutta la vita.
Ancora oggi si dice che le streghe siano rifugiate in una grotta a Bagolino.
Nel XVI secolo, in un’epoca densa si storia, di papi e di eresie, numerosi scritti, oggi ritrovati, riportavano tristi e numerose vicende di stregoneria, che ebbero come vittime designate le donne. Quelle pagine costituiscono la macabra testimonianza di un’era in cui credenze pseudo-religiose frammiste a paura e ignoranza causarono numerosi morti.
Uno scrittore del 1518 scriveva di un gruppo di streghe che avevano scelto il monte Tonale a dimora preferita per i loro riti satanici.
Carlo Miani narra di giovani donne che, istigate dalle stesse madri, dopo aver tracciato in terra una croce, vi sputavano sopra e la calpestavano pronunciando orribili parole. Quindi, compariva loro il cavallo del demonio, su cui montavano in sella per essere condotte sulla vetta del Tonale, dove partecipavano a sontuosi banchetti. In cambio del loro disprezzo verso la croce esse ottenevano bellezza e giovinezza, doni certo preziosi per chi non considera il valore della propria anima!
Quando gli abitanti felici abitavano sul monte Bruffione, un giorno videro nevicare. Non sapevano cosa fosse, perché non avevano mai visto la neve. In quel tempo viveva un anziano di duecento anni che aveva delle ciglia talmente lunghe da ricoprirgli gli occhi. Gli abitanti si recarono dall’anziano per chiedergli: “ tu, che sei vecchio e saggio, sapresti dirci cos’è quella roba bianca e fredda che cade dal cielo, che non abbiamo mai visto?”. Lui rispose: “sollevatemi le ciglia, che vi dirò cos’è!”.
Gli uomini fecero così come era stato detto loro e il venerabile anziano, dopo essersi guardato attorno, esclamò: “nebus, nebus, alla marina! Nevica, nevica, fuggite, fuggite! Andate al mare!”.
Infatti un sito archeologico ha ritrovato dei resti di conchiglie fossili e anelli conficcati in una parete di roccia a Bagolino… che venissero usati per le navi?
(Flavio Scalvini)
* “Arguzie e Arcani” – Leggende di fate e streghe, santi, diavoli e furbi contadini, vicende, uomini e cose della Valle Sabbia – a cura di Lucia Pasini ed Emilia Perri - Scuola Secondaria di 1° grado “F. Glisenti” di Vestone (Brescia) – FdP Editore 2011